Disfare il nesso migrazione–sicurezza: la ricerca dovrebbe smontare i miti, non alimentarli

L’indagine sulla sicurezza in Alto Adige ripropone stereotipi vecchi e infondati. Così la politica trova nei “dati” un alibi per alimentare la paura. Ma la ricerca, per definizione, dovrebbe smontare i miti — non rafforzarli.

In tutta Europa, i partiti di destra continuano a puntare il dito contro gli “immigrati”, accusandoli di essere la causa dell’insicurezza e della criminalità. Intanto, le pratiche di racial profiling fanno sì che le persone straniere vengano fermate e controllate più spesso, secondo meccanismi di etichettamento e marginalizzazione. Nei media, la nazionalità di chi commette un reato viene spesso sottolineata quando non è italiana, contribuendo alla rappresentazione delle migrazioni come una “crisi permanente” (https://www.cartadiroma.org/news/notizie-di-contrasto-online-il-nuovo-rapporto-di-carta-di-roma/). Così si rischia di alimentare un circolo vizioso che rafforza, giorno dopo giorno, l’equazione straniero = criminale

Il compito della ricerca dovrebbe essere un altro: raccogliere dati in modo trasparente, contestualizzare le paure e verificare le percezioni.

Non sembra essere questo il caso dell’indagine sulla percezione della sicurezza in Alto Adige (https://assets-eu-01.kc-usercontent.com/c1c45d5a-c794-01a3-3c24-89f77bf8cab4/a79da6f1-f177-4341-8364-e622fee2d908/S%C3%BCdtiroler%20Sicherheitsstudie_it.pdf), commissionata dal Dipartimento Edilizia abitativa, Sicurezza e Prevenzione della violenza.

Lo studio, presentato lo scorso 28 ottobre, finisce invece per alimentare — e capitalizzare — la narrazione che lega criminalità e presenza straniera (https://www.openpolis.it/la-criminalita-tra-gli-stranieri-un-fenomeno-spesso-strumentalizzato/).

I risultati sembrano stabilire un legame diretto tra immigrazione e insicurezza. Eppure, la ricerca sociale mostra chiaramente che non esiste alcun nesso causale tra la presenza di persone straniere e l’aumento della criminalità — come evidenziano, tra i molti studi disponibili, quelli condotti in Italia (https://www.mifacts.unipr.it/index.php/2020/10/27/esiste-una-relazione-tra-criminalita-e-immigrazione/) e in Germania (https://www.dw.com/en/german-media-bias-falsely-inflates-crime-by-foreigners/a-74410565).

Al contrario, diversi studi dimostrano come le persone con background migratorio vivano spesso sotto la minaccia costante di illegalizzazione. Per ottenere o mantenere la cittadinanza devono rispettare regole rigide, affrontare costi elevati e superare ostacoli burocratici che per i cittadini locali semplicemente non esistono. Non sorprende, dunque, che siano proprio loro — spinte dalla necessità di difendere la propria posizione in un sistema che le guarda con sospetto — a rispettare la legge più scrupolosamente degli altri.

La sociologia avverte da tempo anche su un altro fenomeno, noto come immigration innumeracy (https://migrationpolicycentre.eu/survey-respondents-can-collectively-produce-accurate-immigration-estimates-heres-how/): la tendenza a sovrastimare il numero di immigrati presenti nel proprio paese. Questa percezione distorta alimenta paure e consenso verso politiche securitarie. Non a caso, l’Istat ha scelto di non inserire più “immigrazione” tra le opzioni di risposta alla domanda su cosa preoccupa maggiormente gli italiani: quella parola, da sola, è sufficiente a falsare i risultati.

Definizioni mancanti, effetti reali

Il sociologo Marco Sciortino (Università di Trento) ha evidenziato (https://salto.bz/it/article/30102025/studio-sicurezza-alto-adige) le criticità del campione e la mancanza di riferimenti a variabili cruciali — come la condizione socioeconomica degli intervistati — che influenzano fortemente percezioni e comportamenti.

Altre considerazioni metodologiche ridimensionano ulteriormente la validità dei risultati emersi dallo studio condotto. A colpire, innanzitutto, è la mancata pubblicazione del questionario: un’omissione insolita, che impedisce di conoscere l’ordine e la formulazione esatta delle domande, elementi che influenzano in modo sostanziale le risposte. La trasparenza metodologica è un principio cardine della open science e rappresenta un indicatore fondamentale della qualità di una ricerca.

Le domande rese pubbliche nella sintesi dello studio sembrano finalizzate ad un chiaro obiettivo: guidare chi risponde a collegare automaticamente “migrazione” e “insicurezza”. Il risultato è una percezione distorta, in cui la migrazione viene rappresentata come fonte di tutti i problemi sociali.

Un principio basilare della ricerca quantitativa impone di definire con precisione i concetti su cui si chiede alle persone di esprimersi. Nonostante un intero capitolo sia dedicato alla “migrazione come principale problema di sicurezza”, il rapporto non chiarisce cosa si intenda per “migrazione”. A quale realtà pensavano gli intervistati? Alle persone che lavorano nel turismo locale? A chi vive senza documenti? O forse ai rifugiati costretti a dormire per strada per mancanza di posti nel sistema di accoglienza?
Vale la pena ricordare che la Provincia di Bolzano, secondo il rapporto SAI 2025, è fanalino di coda nel Sistema di Accoglienza e Integrazione, con solo 17 posti ogni 100 mila abitanti, contro una media nazionale di 65 (https://www.anci.it/wp-content/uploads/2025/06/Presentazione-Atlante-SAI-2025-17-giugno-2025-SLIDE-FINALI-GMG.pdf).

Anche termini come “baby gang” o “raggruppamenti sociali” vengono utilizzati senza una definizione chiara. Concetti centrali come “criminalità” restano vaghi, escludendo reati economici, violenza domestica, corruzione o crimini d’odio. Inoltre, non viene specificato il genere degli intervistatori — un elemento tutt’altro che secondario, poiché può incidere sulla disponibilità delle persone a parlare di temi sensibili come la violenza domestica.

Domande come “Cosa è più importante: più sicurezza con le telecamere o la tutela della privacy?” semplificano e polarizzano questioni complesse. Altre, come “La migrazione eccessiva è la principale causa della criminalità?”, inducono una risposta già scritta.

Mentre i problemi sociali ed economici — indicati dal 34% degli intervistati come principali cause dei reati — vengono appena accennati, l’attenzione si concentra quasi esclusivamente sull’immigrazione, oscurando i veri fattori strutturali del disagio. Povertà, esclusione e precarietà abitativa scompaiono così dal quadro.

Stereotipi travestiti da dati

Domande parziali, risposte su temi prestabiliti e omessa dichiarazione degli strumenti di verifica, comportano dubbi sulla qualità di una ricerca. Alcune formulazioni ripropongono vecchi cliché, come “gli immigrati commettono più reati dei locali”. Non solo: tra le domande finali, si chiede se si sia favorevoli all’espulsione degli stranieri che hanno commesso reati — una formulazione che spinge verso la risposta affermativa e finisce per legittimare, indirettamente, misure di dubbia legalità.

La sequenza delle domande prepara il terreno per la chiusura: “Siete favorevoli alla costruzione di un centro per il rimpatrio a Bolzano?”. Dopo pagine di associazioni tra migrazione e criminalità, la risposta diventa quasi scontata.

Il prezzo della disinformazione travestita da scienza

Quando la ricerca smette di cercare risposte e preferisce muoversi sul terreno della conferma di tesi precostituite, tradisce la propria funzione e mina la fiducia dei cittadini nella scienza. Il dubbio che si vogliano utilizzare indagini pseudo-scientifiche per legittimare politiche xenofobe e securitarie è preoccupante, sia per le conseguenze sociali, che per il rischio di svuotamento di credibilità della vera ricerca — quella che si fonda su metodo, trasparenza e rigore.

Si ha la netta impressione che l’obiettivo dello studio sia quello di soffiare sul fuoco dell’“emergenza migratoria”, tanto più se si considera che a settembre 2025 l’ASTAT ha pubblicato un breve documento sulla sicurezza percepita dalla popolazione in provincia.

Il dossier Astat (disponibile a questo link (https://assets-eu-01.kc-usercontent.com/b5376750-8076-01cf-17d2-d343e29778a7/b3e17769-f915-48cc-96f7-5d8dca722e7e/mit38_2025.pdf) si basa su dati raccolti tra il 2009 e il 2023; prende quindi in considerazione una base temporale più ampia e un campione sicuramente più solido, raccontando una realtà diversa da quella spesso evocata nel dibattito politico: in Alto Adige oltre tre quarti delle persone residenti si sentono sicure nella propria zona, segno che la percezione di insicurezza non corrisponde affatto a un’emergenza diffusa. Significativo che la parola immigrazione non compaia in alcuna parte del documento.

Una lavoratrice iscritta alla Cgil/Agb